Il 4 febbraio è la Giornata Mondiale contro il Cancro

feb 12. 2019

Il 4 febbraio è la Giornata Mondiale contro il Cancro e noi diamo la parola ai nostri UGO che tutti i giorni affiancano persone che lottano contro una patologia oncologica. 

Il 4 febbraio è la Giornata Mondiale contro il Cancro e noi diamo la parola ai nostri UGO che tutti i giorni affiancano persone che lottano contro una patologia oncologica e stanno loro accanto nell’apprensione prima di un esito, nella ricerca della forza di reagire a una brutta notizia, nel riempire il tempo di un’infusione di terapia, nel cercare un sorriso in fondo a una giornata estenuante. Restano con loro, con le loro mogli, con i loro mariti, con i loro figli e nipoti. Per tutto il tempo, offrendo supporto organizzativo, fisico ma soprattutto emotivo.

Abbiamo scelto di percorrere una strada diversa e offrirvi i loro racconti e le loro emozioni, per farvi percepire cosa significa per un UGO passare da estraneo a compagno di viaggio, contenitore di sentimenti contrastanti, osservatore discreto di condizioni familiari. Vedrete delinearsi un percorso delicato, una vera e propria esperienza di vita che alimenta momenti di riflessione sul senso di vivere e sull’utilizzo del tempo.

Storia 1 | UGO significa divenire “Companius”

Cosa si intende per UGO? La definizione che si trova nel nostro sito è che l’UGO, in seno al percorso medico terapeutico, è un ‘accompagnatore’. Si intende che il mio ruolo va molto al di là del semplice portare una persona da casa all’ospedale e riportarla indietro. Va molto oltre anche il solo presenziare, stare con lei. Vi spiego meglio: per ‘accompagnare’ si intende ciò che l’etimo della stessa parola ben spiega quando dice: ‘cumpanius’ da ‘cum’, cioè con-insieme e ‘panius’, pane, che indica un qualcuno che è molto più di un commensale. Egli è: ‘partecipe dello stesso vitto e alloggio’. Personalmente mi piace questa definizione poichè io (UGO) e l’utente cui dedico il mio tempo, partiamo da questo spirito di “compagnia”, con questo obiettivo di com-partecipazione e con-divisione.

Negli scorsi mesi ho avuto varie esperienze di accompagnamento con persone malate di tumore e di fatto, benché non vi è nessuna pretesa e intrusione di divenire ‘companius’, la vicinanza e la reciprocità di collaborazione e condivisione nelle fasi di spazio-tempo ‘insieme’, hanno generato molto più che un portare e assistere come semplice presenza. La modalità con cui la persona e la famiglia in poco tempo ti fanno sentire companius, coinvolgendoti nelle attività e dandoti delle responsabilità, anche lì, dove la storia implica serie realtà di dolore e sofferenza, non può che lasciare un segno nelle nostre reciproche vite. Divenire un loro ‘companius’ è per me un onere ma anche e soprattutto un onore. Qualunque sia il percorso e comunque vada, la loro fiducia e gratitudine non può che renderti parte breve o lunga del loro percorso di vita.

A. – UGO, uomo, 53 anni. Genova.

Storia 2 | Un lavoro di corpo e testa, per persone “speciali”

L’accompagnamento che proponiamo e realizziamo non è uno scherzo. Ti fa sentire molto viva perchè riesci a supportare un altro essere umano, finora a te estraneo, in un momento molto particolare e sicuramente doloroso della sua vita.

Forse all’inizio parti con tanta voglia di renderti simpatica, provi un approccio superficiale e leggero, un primo passo per sollevare un pò il rimorchio di sofferenza e dolore che la persona si trascina chissà da quanto tempo; ma in breve tempo ti accorgi che ti spetta un compito molto impegnativo se eseguito con la testa, oltre che con il fisico.

Ho imparato che in certi momenti è importante essere seria e rispettosa dell’intimità del dolore altrui ma allo stesso tempo affidabile, presente ed efficiente. Ho capito l’importanza di riuscire a precedere e anticipare movimenti fisici e parole, attuare piccole ma fondamentali decisioni per migliorare la situazione o evitare ulteriori fastidi.

Trovo molto interessante e utile provare a concentrare tutta l’attenzione possibile nei confronti di chi accompagni, perché lo considero un percorso di vita anche per me UGO, per mettere alla prova le mie qualità e i miei difetti. E’ un’esperienza che inizi e perfezioni strada facendo, da cui ho imparato e posso apprendere molto, cercando di preservare una giusta distanza professionale ed elaborando le mie emozioni in maniera costruttiva. Essere UGO è un lavoro per persone ‘speciali’ nel senso più solidale e generoso che esista. ”

M. – UGO, donna, 56 anni. Milano

Storia 3 | “Un aiuto professionale, fatto di gesti concreti e sguardi sinceri

Una persona malata di cancro vive indiscutibilmente una situazione estremamente difficile, complessa e logorante, ognuno con le proprie specificità. Una situazione che si ripercuote anche sui famigliari e sul caregiver che assiste e cura, al prezzo di sacrifici di tempo, economici, sociali e psicologici. Avolte invece il malato è completamente solo ad affrontare tutto questo.

E’ in queste condizioni di fragilità che noi di UGO portiamo un aiuto professionale, fatto di gesti concreti e di sguardi sinceri: al caregiver, che può riprendere per se stesso un po’ di tempo e ricaricare le energie, sapendo di affidare la persona cara in mani sicure; e soprattutto al paziente, che trova giovamento nel supporto di una persona empatica, capace, attenta, totalmente dedicata a lui e non così emotivamente coinvolta: è libero di esprimersi.

Personalmente ho piacere di credere che ogni servizio svolto in favore di queste persone, agevoli il loro vivere la malattia, doni serenità e appoggio al quadro generale, piccolo o grande che sia stato il contributo che mi è stato richiesto. In cambio ricevo grande soddisfazione, tanto dai ringraziamenti espliciti, quanto da piccole parole, gesti, espressioni dei pazienti durante e dopo l’affiancamento.”

A. – UGO, uomo, 45 anni. Milano

Storia 4 | “Il mio cancro sta dormendo!!”

Il ruolo fondamentale di UGO è quello di infondere sicurezza e dare piena disponibilità al paziente e, di riflesso, alla sua famiglia. Gli utenti che seguo hanno un tumore che non può essere guarito ma grazie alla ricerca scientifica può essere stabilizzato. “Il mio cancro sta dormendo!!” ho sentito esclamare ad una delle persone che accompagno, soddisfatto all’uscita dall’ambulatorio dopo il colloquio con il medico. Per me è stato vivere una liberazione insieme a lui.

Ma questa condivisione così intima e così piena è frutto di un percorso. Non si tratta di un nostro parente, siamo estranei che dobbiamo guadagnarci la loro fiducia per poterli aiutare al meglio. Quando la persona che accompagno mi invita a stare con lui anche nel chiuso dell’ambulatorio, a colloquio con i dottori, derogando di fatto all’esigenza di privacy, in quel momento io mi rendo conto di aver lavorato bene. E per le famiglie è sicuramente importante il rapporto di fiducia reciproca che si viene ad instaurare dopo i primi appuntamenti. Permette ai parenti di assolvere i propri impegni sapendo che il proprio caro è assistito a 360° dall’accompagnamento casa/ospedale all’assistenza completa durante la terapia, che può ridursi banalmente in una parola di conforto e incoraggiamento o nell’andare a prendere una bottiglietta d’acqua alle macchinette.

Dando per scontato che non esistono pazienti uguali nell’affrontare il dramma della malattia ed il relativo approccio alle cure, per noi UGO il valoreimmediatamente riscontrabile è un arricchimento sul piano umano. Si crea un clima di complicità che risulta benefico anche per lo svolgimento della parte più prettamente tecnica del nostro lavoro. E’ bello poter dire alle persone malate e alle loro famiglie di poter contare sull’appoggio di un’altra grande famiglia…la Famiglia UGO!!

M. – UGO, uomo, 56 anni. Torino.

Storia 5 | “Con UGO ho compreso il significato di sentirsi utile veramente”

Sono un operatore socio sanitario (OSS) con esperienze pregresse in ASL e sul territorio. Quello che sto vivendo come UGO è ineguagliabile: con questo lavoro ho compreso il significato del sentirsi utile veramente. Si devono affrontare e risolvere situazioni che per una persona non colpita dal cancro, sono ritenute delle banalità o vengono considerate automatismi. Basti pensare che per chi vive o convive con questa malattia, parlo sia per il malato che per il familiare che gli sta accanto, anche affrontare un nuovo controllo o informarsi per prenotarlo è come una nuova montagna altissima e faticosa da scalare. Inoltre chi ha il cancro non vuole essere di peso per i propri familiari, non si confida con loro e non esterna il peso, la stanchezza e la fatica di dover affrontare settimana dopo settimana la terapia, con la paura che dopo ogni controllo ci siano nuove brutte notizie da ascoltare.

E noi UGO diventiamo un punto di riferimento: li ascoltiamo, li lasciamo parlare e scaricare dalle tensioni e dalle ansie che si accumulano. Per le persone che affianchiamo, sapere e sentire che ci siamo e siamo pronti ad essere d’aiuto è qualcosa che li rasserena, li rende sicuri. Perché io, come se fossi un familiare, sono lì, terapia dopo terapia, in maniera continuativa, per vivere, comprendere e ascoltare la loro sofferenza.

UGO ha colto con questo servizio le aspettative di chi vive malattie così dolorose, cercando di far capire l’importanza dell’affidarsi. Certo purtroppo ho vissuto anche l’esperienza di chi mi scrive “il nostro amato ci ha lasciati”: moglie e tre figli senza più il loro papà. E allora lì le emozioni prendono il sopravvento.

R.- UGO donna, OSS, 57 anni. Torino

Storia 6 | “Un UGO che dovrebbe chiamarsi Angelo”.

E’ già trascorso un anno da quando ho iniziato la mia avventura di accompagnatore UGO e senza accorgermene mi rendo conto di aver arricchito il mio vivere di tante soddisfazioni che prima non riuscivo a cogliere perché consideravo “scontate”. Ora sono felice quando ricevo un sorriso da chi di sorrisi purtroppo, ha difficoltà a farne, oppure nel sentirmi dire grazie di cuore per un gesto che a me non costa alcuna fatica, o nel far svagare con racconti di vita personali una persona che ha magari mille pensieri bui.

Singolare il caregiver di una persona cui faccio accompagnamento che mi dice dopo un pò di tempo: “Ma perchè vi chiamate UGO? Vi dovreste chiamare ANGELO!”, “Come?!” – dico io – “Si, ANGELO, perchè è come se nella mia vita fosse sceso un Angelo a seguire la mia mamma negli alti e bassi del quotidiano e anche me nelle paure e nelle incombenze quotidiane.”

Una frase del genere, dopo una giornata trascorsa al fianco della persona sofferente  “scalda il cuore” e rende ancor più importante il nostro ruolo. Pur entrando sempre in punta dei piedi nella vita di persone sofferenti, si crea un rapporto molto stretto che viene arricchito man mano da molti aggettivi: cordiale, discreto, collaborativo, intimo e affettivo.

A consolidare il nostro ruolo ci sono anche i numerosi commenti che sento nelle sale di aspetto, di persone malate che apprezzano molto il lavoro degli UGO e vorrebbero goderne anche loro.”

C. – UGO, uomo, 63 anni. Torino

Storia 7 | “Ma questo non è UGO!”

Se non sbaglio è stato il mio primo servizio continuativo, ma poco importa! Partenza: Milano, destinazione: Humanitas di Rozzano. Tutti i giorni per un periodo di tre settimane, 4 ore al giorno. Sapevo che si trattava di una gestione delicata: il papà aveva un tumore. Ad accompagnarlo c’era sempre la moglie ed alcune volte veniva la figlia o ci raggiungeva in Clinica.

PRIMO GIORNO – Al mio arrivo, puntuale come sempre, accolgo i signori, mi presento e li faccio accomodare: si parte. Tutti zitti! E dentro di me penso “é chiaro che non parlino, hanno altri problemi in questo momento.” Il viaggio prosegue, circa 40 minuti per arrivare, qualche parola ma nulla di più. Al rientro idem. Fine del servizio: saluto e ci accordiamo per il giorno dopo. Tornando a casa pensavo: “ma questo non è UGO! Noi non siamo dei taxisti e non lo sono nemmeno io come persona! Allora Paolo, rendi piacevole per quello che puoi la giornata a queste persone, sii te stesso…punto!”.

SECONDO GIORNO (in avanti) – Tutto è cambiato. Sono arrivato da taxista, ho finito e vissuto il servizio da familiare. Ogni viaggio era fatto di momenti di silenzio e di piacevoli chiacchierate (sempre nel rispetto della loro privacy.): variegati argomenti, risate, etc. E così anche le lunghe attese. Ad ogni rientro era mia abitudine viziarli con qualche snack: potete immaginare la soddisfazione! Alla fine del ciclo, fatto di chemioterapie, visite, controlli e attese, i ringraziamenti non finivano e con loro le promesse di rivederci prestissimo.

I ringraziamenti da parte della figlia hanno racchiuso in una semplice frase il mio impegno: “Grazie Paolo, per aver contribuito con la sua presenza a rendere meno pesante questo momento. Grazie.”

P. – UGO, uomo, 51 anni, Milano. 

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