Quando è il tempo che trascorri con UGO il vero valore
apr 10. 2019
Storie di UGO
Il Druido e la Sacerdotessa.
Far percepire quello può rappresentare UGO nella vita di certe persone è per noi un dovere e un onore. E con grande gioia raccontiamo la storia di uno dei nostri UGO che ha dedicato un “pezzettino” della sua vita alla parte finale della vita di “una splendida persona”.
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Doveva essere un abituale servizio di veglia notturna ma in quelle notti accadde che tra l’UGO e la nostra utente si instaurasse un legame talmente speciale da creare quell’empatia capace di “donare e scambiarsi la vita”, così come viene definita dal nostro UGO: “Mi avevano preparato a trovare una donna malata di cancro al cervello, consapevole che sarebbe potuta morire a breve, tutto sarebbe dipeso dall’esito degli esami in corso. Appena arrivai Lei, che chiamerò G., mi lanciò un’occhiata indagatrice facendomi subito capire l’autorevolezza del suo carattere ma piano piano la sua corazza lasciò spazio semplicemente a lei e alla sua voglia di farsi ascoltare. Dopo nemmeno un’ora mi disse che stava bene con me, che le trasmettevo tranquillità ed era contenta di avermi lì con lei.”
Infondere tranquillità non è sempre scontato e semplice quando si ha a che fare con la malattia che deforma e annienta i canoni estetici socialmente costituiti e approvati. “Guardarle il viso, segnato dalle operazioni e dagli effetti del cancro mi ha generato angoscia e dolore, anche se tentavo di mascherare il tutto con un sorriso e una battuta di spirito. Vedere una donna così imponente risucchiata da un male che non l’avrebbe abbandonata è disarmante, lascia senza risposte. Infondere sicurezza non è stato banale per una persona sensibile come me!”.
Era difficile ma lei aveva sicuramente bisogno di credere ancora nella vita. Io, UGO, ero lì anche per quello e feci quello che andava fatto.
Nelle notti che trascorse con G, UGO quando si accorgeva che il suo pensiero cavalcava in posti brutti, si divertiva a “punzecchiarla” così da innescare dei botta e risposta per poi fingere di essersi sbagliato, una strategia fatta a fin di bene che la riportava in un luogo sicuro e ancora vitale.
“La prima sera aveva fatto preparare un lettino affinché potessi dormire; ma le dissi che ero lì per vegliarla, non per dormire. E se all’inizio questo mio osservarla di continuo sembrava irritarla, a lungo andare, tutte le volte che si svegliava dai suoi brevi sonni e mi vedeva che le sorridevo o le chiedevo se avesse bisogno, la rendeva sicura e tranquilla, io ero lì per dedicarmi a lei per rendere più sopportabili i suoi tormenti notturni. E iniziammo così a parlare, lei cominciò ad aprirsi, a farsi conoscere.”
G. era consapevole che sarebbe potuta mancare a breve perché tutto dipendeva dagli esami che l’avevano portata a spostarsi dalla Sardegna a Milano e aveva necessità di assistenza. Abbiamo scelto per la sua veglia un UGO comunicativo ed empatico del nostro gruppo. Tra di loro ci fu uno scambio fatto di umanità, comprensione e di energie che probabilmente solo tra estranei si attivano, si appare per ciò che si è, senza una storia che ti descrive e precede. G. era in una situazione di fragilità e aveva bisogno di sentirsi ancora viva, di riconoscersi, “si definì atea e amante di riti pagani dove lei veniva chiamata La Sacerdotessa” e la seconda notte il nostro UGO le scrisse una poesia che “la lasciò senza parole” :
La Sacerdotessa
“Che non fosse una donna normale lo si capiva immediatamente: dallo sguardo, dalla voce, la presenza immanente. Che non fosse una donna normale lo si capiva dal suo modo di parlare, deciso, diretto a volte elementare. Che non fosse una donna normale lo si capiva dalla sua voglia di esistenza, dovrà iniziare a combattere una dura battaglia non potrebbe rimanerne senza. Che non fosse una donna normale lo si capiva perché lo capiva Lei stessa: del mondo pagano Lei ne era una gran Sacerdotessa.”
Con questo gesto l’UGO aveva scaldato l’animo di G. e per tutta la sua permanenza in ospedale lo volle ogni notte al suo fianco. Le sarà sembrato molto singolare e davvero speciale aver trovato una persona così empatica e capace di comprenderla in breve tempo e con pochi gesti. Passavano ore a parlare, di vita, di storie, di futilità e piccoli segreti. Scendevano al freddo nei viali dell’ospedale per fumare una sigaretta, guardavano il cielo stellato, l’alba e l’arrivo della mattina per poi andare al bar e concedersi un abbondante colazione. Comprendere e vivere il tempo per quello che è, il silenzio, il rumore dei passi, il trascorrere della notte con piccoli gesti, godendosi il momento, l’attimo e la lentezza dell’ospedale che si ferma lasciando speranza anche all’arrestarsi delle malattie; ma ecco che il mutare del giorno incombe, in continuo movimento, senza aspettare nessuno, come il cancro.
L’accompagnamento è scambio reciproco, ascolto, riflessione e vicinanza come di un familiare.
L’accompagnamento durò una decina di giorni e da subito le piccole routine avevano reso ancor più familiare il legame tra i due. “La seconda notte si svegliò verso le quattro e mi chiese di andare nella cucina del reparto a rubare una mela. Riuscii nell’impresa: una piccola fettina per G e una per me, mentre chiacchieravamo di quello che ci veniva in mente o stavamo in silenzio persi nei nostri pensieri. Da quella notte, tutte le sere arrivavo con 2 mele che portavo da casa e le mangiavamo, a piccole fettine, in piena notte.”
Nel corso dei giorni sentimenti contrastanti la facevano da padrone nei dialoghi, voglia di vivere ma anche rassegnazione, tristezza e rabbia, desideri distruttivi di morte ed emozioni che scaldano il cuore “Ogni tanto mi chiedeva chi mi avesse mandato da lei e io rispondevo UGO, e si rideva. Ma da Sacerdotessa pagana ripeteva che l’esserci incontrati era stato frutto del caso e così fui io a farle notare che era nata nel ‘56 e io nel ’62, quindi lei aveva 62 anni e io 56!”
Essere un UGO significa anche avere uno spirito di osservazione e analisi abbastanza elevato, tanto da riferire ai medici comportamenti anomali o esigenze particolari che possono destare preoccupazione. Così è stato per G., assistita per 10 notti di fila dal nostro UGO che in totale avrà dormito 10 ore in tutta la settimana. E quello che all’UGO rimane è: “non mi ha mai pesato. Ho avuto modo di fare riflessioni importanti della mia vita, del futuro e del passato, nei momenti nei quali lei si addormentava nel buio della camera. In quelle 10 notti io sono stato il suo confidente e G. la mia; io ero la sua famiglia e G. la mia.
I suoi familiari capirono che era in buone mani. Confesso che la decima sera, non dovendo raggiungere l’ospedale, era come se qualcosa mi mancasse. E mentre riprendevo il mio ritmo quotidiano il pensiero andava spesso a G. E infatti il caso c’ha messo lo zampino, G. ha voluto farmi un regalo: il 12 dicembre è volata in cielo, o si è reincarnata in qualcosa d’altro visto che credeva anche in questo, proprio il giorno del compleanno di mio padre così che potessi ricordarmi di Lei, almeno una volta l’anno.”
Contaminazioni, incontri, un miscuglio di emozioni che rendono la figura dell’UGO, non solo un professionista ma simile a quella di un familiare, un amico, un confidente a cui si affidano generosamente gli ultimi frammenti della propria vita, a volte gli aspetti più profondi di essa. Esperienze forti quelle dei nostri UGO che riportano a riflessioni importanti sul bisogno di affidarsi e lasciarsi andare, comprendere nelle debolezze e nei momenti di sconforto per sentirsi più veri e, comunque vada, in vita.